
Quando ancora non si intravedeva nemmeno la portata distruttrice del SARS-CoV-2 nella sua interezza, già le aziende italiane del biotech erano all’opera per capire, studiare, cercare di sequenziare il virus, fornire un contributo fattivo alla diagnostica e sviluppare vaccini atti a proteggere la popolazione e rallentare il contagio. Questo è solo uno dei tanti esempi che si possono raccontare sul particolare mondo legato alle biotecnologie, che lavora lontano dai riflettori, per quanto riguarda i mass media, per poi esplodere in notorietà quando, effettivamente, vi sono risultati sorprendenti che aiutano l’uomo a progredire e a migliorare le proprie condizioni di vita. Lo scopo del biotech nel suo complesso è proprio questo: osservare l’esistente e fornire nuove soluzioni, possibilmente in velocità, o comunque senza mai rallentare il ritmo dell’operatività.
Un Paese che può e deve dire la sua nel biotech
Il settore delle biotecnologie è vivace e colorato. Non solo perché le sue tante branche (white-industriale, blu-marina, red-medica farmaceutica e veterinaria, green-agraria o vegetale, yellow-alimentare, ecc.) arrivano a comporre quasi un arcobaleno di scienza. Ma soprattutto perché esprime una competenza trasversale che davvero trova campi di applicazione numerosi e tutti votati a ricerca, progresso e interconnessioni con altre discipline.

Come spesso accade nel nostro Paese, il settore biotech è numericamente esiguo, dal punto di vista delle aziende – circa 700 – ma il potenziale espresso sopravanza in dinamismo settori ben più grandi. Si pensi per esempio al fatto che “rispetto alle attività manifatturiere, l’incidenza degli investimenti in R&S sul fatturato per le attività biotech è notevolmente superiore: di 4 volte per le aziende biotech in genere; di 9 volte per le imprese dedicate alla R&S biotech; di ben 20 volte per le imprese dedicate alla R&S biotech a capitale italiano”.* Il fatturato totale supera i 12 miliardi di euro (incremento medio annuo tra il 2014 e il 2018 di circa il 5%); il numero degli addetti è pari a oltre 13 mila, il 34% dei quali impiegato in ricerca e sviluppo.
Il biotech ha un cuore pulsante che vuole accelerare e vuole presidiare e far crescere tutti i suoi campi d’azione, dalle applicazioni industriali a quelle ambientali, da quelle agricole a quelle zootecniche, a quelle per la Genomica, Proteomica e Tecnologie Abilitanti. Gli addetti sanno perfettamente che questi quattro ambiti rappresentano, in ordine di apparizione, i macro-temi di interesse del biotech, ma forse non ricordano che il “fermento” del settore è confermato anche dal fatto che ben il 20% delle aziende italiane biotech è composto da start-up innovative.
Il nostro Paese sconta ancora qualche problema a livello dimensionale, con imprese di media e piccola dimensione, ma certamente la sfida proposta dall’Unione Europea all’Italia, nel senso di una maggiore competitività attraverso un’aggregazione delle aziende e una collaborazione stretta con il mondo accademico può essere accettata dal biotech.
Le donne del biotech
Alcune hanno il camice bianco, altre ricoprono ruoli dirigenziali, altre sono imprenditrici portatrici di competenze e capitali nelle start-up e non solo. Le donne, scienziate e non solo, sono essenziali e indispensabili, nel biotech e per il biotech. Si sta parlando infatti di una disciplina che ogni giorno si confronta con l’innovazione spinta, l’ignoto, la sperimentazione, e che pertanto richiede soft skill adeguate. Le donne, con la loro capacità di essere multitasking, di intuire correlazioni non visibili, di lavorare in team esplodendo le loro migliori capacità si adattano alla perfezione a questo settore. E lo sostengono e lo fanno crescere, aggiungendo anche un’attenzione specifica al miglioramento della qualità della vita e al rispetto delle scelte etiche che spesso vengono chiamate in causa dalle scoperte scientifiche. Scienza, clinica e imprenditoria nel biotech possono così veramente dialogare e dedicarsi con azioni concrete al famoso “trasferimento tecnologico” che in altri comparti resta ancora una chimera.
Le biotecnologie per un futuro migliore
Forte è l’aspettativa nei confronti del biotech, nel nostro Paese, nel quale la metà delle imprese ha come settore di applicazione quello legato alla salute, con i tre macro-ambiti dei biofarmaci, dei diagnostici e dei vaccini. Oggi si può parlare di “ingegnerizzazione dei tessuti, alla correzione ‘chirurgica’ di patologie scritte nel DNA e alla messa a punto di diagnostici ultra veloci che sfruttano l’intelligenza artificiale”*, cosa sino a 40 anni fa del tutto non immaginabile.

Il grande sviluppo delle biotecnologie sarà legato a percorsi di studio e ricerca di grandissimo respiro, che ingloberanno le più importanti innovazioni tecnologiche, come i Big Data, l’Intelligenza Artificiale, il machine learning. I grandi problemi legati alla sopravvivenza del pianeta e alla vita dell’uomo (desertificazione, effetto serra, pandemie, mancanza di cibo per la popolazione mondiale) attendono anche i risultati delle applicazioni delle biotecnologie.
Le donne possono fornire un contributo incredibile al mondo della scienza, così come a quello dell’impresa e della società civile. Sarebbe utile che finalmente emergessero i loro racconti e le loro testimonianze, così da confermare il loro ruolo e da diventare esempio per le giovani che vogliano iniziare percorsi STEM.
Pubblicato su https://it.iqos.com/it/news/donne-scienza-invenzione-carriera/women-biotech-elena-sgaravatti-biotecnologie-italia

Gianna Martinengo
CEO DKTS
Membro dell’Advisory Board di STOA
Fondatrice e Presidente di Women&Tech®
Expertise: Innovazione tecnologica e sociale, E-Learning, Women’s Empowerment
(per maggiori dettagli sul CV, vedi: https://www.didaelkts.it/gianna-martinengo )