Innovare significa per noi comprendere, adattare, realizzare progetti in funzione degli utenti.
Inizialmente eravamo DIDAEL (DIDAttica con ELaboratore, 1983-2003), poi siamo passati a Digital KTS, ma lo spirito è rimasto immutato: per noi contano gli effetti delle tecnologie, non le tecnologie per se stesse.
Nei processi di insegnamento (DIDAEL) abbiamo capito che non è tanto importante insegnare, quanto imparare, ovvero l’effetto dell’insegnamento. Tant’è vero che esistono l’apprendimento informale e quello serendipito, a complemento di quello formale. Lo stesso avviene, ad esempio, in medicina: non è tanto importante il trattamento (il farmaco, il processo terapeutico, …) quanto l’effetto che questo trattamento ha sulla salute.
Innovare significa parlare di interazione e dialogo
Mentre gli algoritmi descrivono processi ben definiti, l’interazione fra agenti indipendenti (autonomi, senza controllo centralizzato!) non può mai essere ugualmente precisa, perché ad ogni scambio l’altro soggetto può fare una mossa imprevedibile (si pensi agli atti linguistici: rispondere ad una domanda con un’altra domanda). La cosa si complica ancora di più (come ben sanno quelli che fanno sistemi concorrenti) quando gli interlocutori sono più di due ed asincroni (come sul web). Per questo motivo parlare di interazione è sempre stato molto più difficile, rischioso ma anche realistico che non parlare di sistemi algoritmici classici. Tutta la nostra attività è sempre stata fondata sull’interazione e sul dialogo, fra persone e sistemi informatici. Oggi questa è la realtà che ogni giorno si vive su web.
Anche questo approccio – per il quale interazione e dialogo contano più dei semplici algoritmi – ha sempre fatto parte della nostra innovazione, ma il discorso sugli effetti resta fondamentale. Il passaggio da prodotto a servizio è proprio questo: quel che conta di un servizio è ciò che l’utente riceve, valuta, capisce, assorbe, incorpora, … non ciò che il produttore produce.
Questi aspetti altamente innovativi sono stati da noi adottati sin dagli anni ‘80 (Mario Zanotti, Stanford, con l’approccio probabilistico-statistico di previsione del comportamento dello studente, e Stefano Cerri, con l’approccio “AI simbolico” dei modelli studente) fino a renderli altamente visibili negli anni ‘90 – ad esempio con i progetti europei, in cui si propose, fra l’altro, di permettere alle persone di scegliere l’azione da fare rendendo trasparente il comportamento del sistema rispetto alle diverse opzioni : what if?, cioè “cosa succede se?”.
Personalizzare gli effetti delle tecnologie sulle persone (come quelli dei farmaci) è il futuro.
Quando tutti insistevano su “come” fare (algoritmi, tecniche varie – si pensi ai cd-rom – multimedia, poi reti, basi dati, …) noi abbiamo sempre insistito su “cosa” fare e “perché” farlo; il “come” viene dopo e non può che essere fondato su interazione e dialogo, in quanto abbiamo bisogno di continui confronti per risolvere problemi complessi (vedi oggi: ciò che viene chiamato Open Innovation). Cioè prima gli effetti, poi vediamo come crearli.