VIVIAMO NELL’EPOCA DELLE 3 L: Lifelong learning. Tradotto, significa studiare tutta la vita. Una condanna per alcuni, un’opportunità per altri, ma certo è che – rientrati dalle ferie e in fase di riorganizzazione dello smart working – il tema torna impellente sulle nostre scrivanie. Una ricerca dell’Ocse che fotografa il presente registra che quasi 1 lavoratore su 4 sente di non avere tutte le competenze richieste per svolgere i propri compiti. Un’indagine di Deloitte che interroga il futuro stima che oggi solo il 20% dei lavoratori abbia la preparazione giusta per il 60% delle professioni che si svolgeranno tra 10 anni. «Una volta la vita si snodava lungo tappe fisse e distinte: si andava a scuola, poi al lavoro, infine in pensione» spiega Massimo Perciavalle, psicologo del lavoro e fondatore della società di formazione Make it so. «Ora studio e lavoro si intersecano sempre di più tanto che per trovare un’occupazione, mantenerla o cambiarla, occorre aggiornarsi continuamente. Basti pensare anche solo a quanti nuovi programmi applicativi deve oggi adattarsi chi lavora in azienda. Per questo serve avere la mente aperta, essere curiosi, vedere l’apprendimento come uno strumento di crescita. A ogni età».
Non ci sono più le lezioni di una volta
Va, però, chiarito un punto. «Anche prima l’aggiornamento serviva: se un medico non continuava a studiare, era un cattivo medico. A fare la differenza, ora, è la pervasività della tecnologia che, unita alla sua velocità di evoluzione, sta modificando le relazioni interpersonali e, quindi, anche le modalità lavorative» spiega Stefano Moriggi, filosofo della scienza e docente di Tecnologie della comunicazione all’Università di Milano Bicocca. A cambiare non è solo il cosa si impara, ma anche il come. «Le lezioni ex cathedra sono state sostituite da corsi interattivi. E la pandemia è stata un potente volano per i corsi online» dice Gianna Martinengo, che ha fondato il centro di digital learning Didael KTs e da 40 anni si occupa di innovazione tecnologica ed empowerment femminile. «Si sta diffondendo anche l’apprendimento informale: si impara dai propri pari che hanno maturato una certa esperienza in un dato settore».
Tutti a scuola di leadership
«Quanto ai contenuti, sono importanti le competenze professionali certificate da diplomi o lauree e non si può prescindere da una conoscenza di base della tecnologia» continua Martinengo. «Ma oggi sono richieste in ogni ambito le cosiddette competenze trasversali, che le donne spesso dimostrano di avere innate: l’intelligenza emotiva e la gestione dello stress, la capacità organizzativa e l’adattabilità, le doti comunicative e il lavoro di squadra. Ma dobbiamo accrescerle e formalizzarle, cioè metterle in evidenza nel curriculum. È poi cruciale coltivare la leadership. Non commettiamo l’errore di pensare che sia materia solo dei grandi capi: anche chi fa un lavoro di routine deve saper gestire al meglio i propri spazi di responsabilità». Come capire qual è il bagaglio di saperi e abilità da costruire o rinverdire? «È bene riflettere sul proprio percorso ed elaborare – da soli o, meglio, con un professionista – un bilancio delle competenze: un processo di autovalutazione in cui si elencano le conoscenze derivanti dagli studi e dalle esperienze e le capacità sviluppate, scoprendo le proprie motivazioni e inclinazioni. Questo aiuta a indirizzarci verso i corsi più appropriati a noi» dice Perciavalle.
Scegliere bene è un percorso in 3 tappe
Stabilito quello che vorrei (o dovrei) fare, non ho finito l’opera, perché la scelta del corso giusto è una sfida impegnativa. Basta un giro online per trovare infinite offerte con cui scandagliare tutto lo scibile tecnico ed emotivo. Ma questo, paradossalmente, si rivela un ostacolo. «Lo hanno dimostrato le neuroscienze e lo vediamo nella vita pratica: avere tanti prodotti tra cui scegliere anziché rendere più agile la nostra capacità decisionale può paralizzarla» dice Moriggi. Dunque, come districarsi in questo ginepraio? «Con un’indagine, che richiede tempo e riflessione, su tre livelli. Primo: non basta lasciarsi attrarre dal titolo di un corso, vanno analizzati i contenuti per non trovarsi a fare cose diverse da quelle che si credeva. Secondo: nel vivace mondo della formazione i prodotti non sempre sono all’altezza della situazione. Quindi conviene cercare corsi tenuti da enti accreditati e riconosciuti: università, istituzioni formative specializzate o anche aziende certificate. La Rete, se ben interrogata, aiuta molto a scremare tra le proposte. Terzo: occorre analizzare le modalità di erogazione del corso. Come si diceva, l’offerta è ampia, anche dal punto di vista metodologico. C’è chi insiste sull’importanza di un setting formativo più tradizionale, chi invece propone soluzioni fruibili esclusivamente online, per non dire poi delle opzioni blended (ovvero “miste”). Occorre essere in grado di valutare, di imparare a riconoscere le specificità delle diverse offerte e la loro compatibilità con i bisogni formativi del caso. Non è facile: bisogna imparare a orientarsi nella Rete al fine di realizzare una ricerca mirata e puntuale. Sono convinto che questa fase di perlustrazione sia già parte della formazione. Non solo la formazione del professionista che dovrà aggiornare le sue conoscenze e le sue competenze, ma anche del cittadino che – oggi più che mai – può dirsi tale anche in ragione dell’avvedutezza e dell’agilità con cui si muove nell’Infosfera» conclude Moriggi.